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“Un giorno ha chiamato una badante ucraina che piangeva perché la persona per cui lavorava era morta, lei aveva la febbre, era stata allontanata dalla famiglia della vecchietta di cui si occupava e non aveva più un posto in cui stare. Ha dormito da una connazionale per una notte, ma siccome aveva la febbre questa conoscente non la voleva più in casa. Chiedeva – dove vado, dove vado?!?”
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Nicoletta da metà marzo risponde al Numero unico di emergenza attivato dal Comune di Bergamo e gestito da Solco Città Aperta.
È un numero dedicato ad accogliere i bisogni concreti di persone in difficoltà: attivazione di pasti a domicilio, ritiro e consegna farmaci, orientamento rispetto a necessità più specifiche relative alla salute.
Ogni giorno dalle 9 alle 14 Nicoletta, a turno con altre operatrici, risponde a circa 30 telefonate e le gestisce. Nonostante il Numero unico abbia una chiara connotazione, arrivano richieste di ogni tipo.
Alcune sono disperate, persone che fanno presente per esempio che un loro familiare non riesce a respirare e che il medico sta tardando, ma non vogliono chiamare il 112 perché temono di non vedere più il loro caro. Oppure alcune che raccontano la sofferenza di rilevare dei sintomi e non sapere che cosa fare.
Il lavoro di Nicoletta consiste nel comprendere bene la richiesta e il reale bisogno espresso da chi chiama, così da poter formulare una soluzione adeguata da passare poi ai colleghi/e che si occupano di attivare interventi specifici anche grazie ai volontari/e.
Il servizio infatti è gestito in rete con il SAD di Bergamo e con i volontari e le volontarie di BergamoxBergamo.
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“E la badante ucraina?”
“È stata l’unica volta che ho richiamato un utente, l’avevo indirizzata alla Caritas e mi ha detto che aveva trovato una sistemazione”

“Il servizio Reti di Quartiere del Comune di Bergamo si è messo subito all’opera per poter essere di aiuto durante questa emergenza. In un certo senso noi Operatori di Quartiere continuiamo ad agire secondo il nostro solito mandato: curare relazioni, tessere legami, essere ponte tra associazioni, servizi, amministrazione, cittadinanza attiva, diffondere informazioni. Quello che è cambiato durante questa situazione è che svolgiamo il tutto da remoto e non possiamo essere nei nostri quartieri, né fare gli incontri di Rete dal vivo, ma, paradossalmente, abbiamo anche allargato i nostri orizzonti perché ora siamo al fianco anche delle squadre di volontari di BergamoxBergamo, dei negozianti di quartiere aperti e che fanno consegne a domicilio che sentiamo costantemente e a cui abbiamo anche consegnato le mascherine per i clienti, degli operatori dei numeri unici che rispondono alle richieste di aiuto. Sento comunque spesso i partecipanti alle mie Reti di Quartiere: Carnovali e Malpensata; molti di loro si stanno dando da fare come volontari nel progetto del Comune o si stanno comunque attivando facendo girare le informazioni utili, segnalando i bisogni, donando e facendo telefonate di compagnia a chi è solo. Ora stiamo capendo se organizzarci con altri strumenti – come Zoom o Meet – per poter riprendere a distanza anche i nostri incontri di Rete, ma io corro già con la fantasia e mi immagino tavolate di quartiere all’aperto in cui ritrovarsi e festeggiare i volontari”

Elettra, operatrice di quartiere AEPER per Malpensata e Carnovali

Dopo un’iniziale sensazione di spaesamento dominata dalle domande “Cosa posso fare?” “Cosa devo fare?” e “Cosa so fare?” in questa situazione di emergenza, ho pian piano messo a fuoco che il mio ruolo di coordinamentodel Servizio Educativo Domiciliare e del Servizio Minori e Famiglie dell’Ambito di Bergamo poteva avere un senso anche nell’epoca “CoVid”.
E oggi, dopo un mese dalle prime misure di contenimento che mi hanno costretta a lavorare in gran parte da casa, oserei affermare di riconoscere a questo ruolo un senso forse ancora maggiore. Mi sembra infatti di aver focalizzato – come anche in altri aspetti della vita in questo periodo – ciò che di essenziale lo caratterizza.
 Mi sono trovata a riorganizzare il lavoro dei due servizi che coordino tenendo presente gli interessi dei tanti soggetti coinvolti – famiglie, operatori, cooperative di appartenenza, consorzio, enti pubblici committenti – e scoprendo che alcuni di questi interessi, da sempre fisiologicamente in conflitto tra loro, non solo continuavano ad esserlo ma per certi versi lo erano ancora di più e che, oltre a non essere chiari, cambiavano pure in tempi brevi.  Come coordinatrice so di essere l’interfaccia tra il dentro e il fuori dei miei servizie il mio compito è stato quindi di presidiare i tanti e a volte confusi processi che caratterizzano i periodi di incertezza come questo, cercando di comprendere e tradurre le indicazioni, alla ricerca di un minimo equilibrio tra le energie presenti “dentro” le equipe e le richieste, giunte da “fuori”, di risposta a vecchi e nuovi bisogni.
Travolta dalle incertezze, ho sentito l’importanza di valorizzare le competenze professionali e umane presenti nell’equipe, di metterle in circolo affinché le famiglie che seguiamo potessero continuare a contare sulla consueta qualità degli scambi, dei sostegni, degli spazi di ascolto, delle proposte che i nostri educatori, educatrici e assistenti sociali hanno sempre garantito loro, certo in forme nuove ma con uguale attenzione. Infine ho sentito l’importanza di garantire agli operatori, a quelli di loro che ne avevano bisogno, uno spazio semplicemente di ascoltoche accogliesse le fatiche dell’affrontare situazioni del tutto nuove che richiedono un ricollocamento per nulla automatico o da dare per scontato, riconoscendo le emozioni che ne derivano ma senza farsene sovrastare, per non perdere di vista il nostro comune orizzonte, quello di essere a fianco delle famiglie più fragili.

Debora, coordinatrice del Servizio Educativo Domiciliare e del Servizio Minori e Famiglie dell’Ambito di Bergamo

Sono alla mia nuova postazione di lavoro, sono le 16 e 30 del pomeriggio e come si vede sullo sfondo c’è la moka sul fuoco, fra poco pausa caffè…il tavolo è coperto dalle “carte”.
Ho la fortuna di poter lavorare da casa grazie alla tecnologia, gli oggetti di lavoro non sono cambiati molto, la fantastica “monotonia” dei numeri consente anche questo.
Siamo in quattro, tutti a casa. Qualche giorno fa con i ragazzi abbiamo fatto questo gioco, abbiamo contato le piastrelle libere (perché io solo giochi numerici posso proporre…)per sapere quanto spazio reale calpestabile stavamo “consumando” sotto i nostri piedi.
Il risultato di 35 m2 per la dimensione lavorativa dei nostri spazi fra lezioni on line, compiti, video, social e speriamo un po’ di lettura, oltre a tutto il resto che c’è da fare in casa. Come se non si stesse lavorando o studiando.
Lavorare da casa è telefonare cercando un angolo riservato, lavorare da casa è prendere nota di quello che ti serve perché si va una sola volta in ufficio a settimana, lavorare da casa è portare a casa dei faldoni che toglieranno ulteriore spazio, lavorare da casa è che nonostante la fibra ci sono momenti in cui non va nulla, lavorare da casa è convivere con chi impasta il pane, la pizza, la torta, con chi fa le polveri, stira, lavorare da casa è ricordare ogni mezz’ora che lo spuntino non è ogni mezz’ora, lavorare da casa è spiegare che non è che puoi chiedermi una cosa di scuola ogni dieci minuti, lavorare da casa è continuare a telefonare al tuo compagno di ufficio o altre colleghe di Via Rovelli anche loro a casa invece che potergli parlare.
Insomma da casa si lavora meglio…solo quando non c’è nessuno a casa.
Sono consapevole che a differenza di altri posso lavorare in un “guscio protettivo”, nel rendere lo scritto “leggero” non voglio mancare di rispetto a nessuno, il mio impegno “da casa” è anche quello di poter continuare ad aver cura delle persone accolte nei nostri servizi grazie al prezioso lavoro di colleghe e colleghi che in questa situazione non si sono di sicuro tirati indietro, anzi.
Cosa resterà di tutto questo al momento non lo so, sono ancora molto confuso. Stiamo a vedere.

Giovanni Tosi, responsabile Settore Amministrazione Finanza e Controllo

Restando a casa in questi giorni mi sono tolta dai ritmi frenetici in cui ero in apnea da….anni? Ma credo che per tutti sia così…..banalità ormai!
Comunque…..Ho ri-scoperto tante cose. Cose non nuove perché, sei ci penso, le ho fatte spesso…ma da bambina. Poi me la sarò dimenticate?
Tra le tante (davvero tante eh?!?) ho riscoperto la lettura del quotidiano. Vado a prenderlo ogni mattina perché l’edicola è esattamente a 10 mt da casa. Riesco a ritagliarmi un’ora o anche più per leggerlo, dopo alcune video call, disbrighi al Pc o telefono, gioco simbolico coi bambini e il nuovo cucchiaio d’argento di mamma Mara .
Lo leggo al sole, seduta sul mio porticato. È il mio rito dato che non mi sono mai decisa a fare yoga!
E tutto parte dal corpo: l’odore della carta stampata, il rumore delle pagine sottili quando le giro, la coordinazione motoria accipicchia a tenerlo in mano bene…
E poi anche un po’ di cognitivo, che fa sempre bene….con le parole: parole puntuali, significative, comprensibili….non gli slogan di quello che ultimamente leggevo sui post o velocemente da internet…che dovevo sempre verificare se fosse o meno un fake. Scelgo io gli articoli che più mi piacciono e……udite udite!!! Mi faccio prestare la forbicina da mia figlia per ritagliarli e tenerli….che si sa mai mi servano da spunto!
Da quanto tempo non ritagliavo i giornali!!!

Mara, coordinatrice della Rete Famiglie Affidatarie

Famiglie Care,

ormai, come tutte le consuetudini gradevoli e confortanti, non riusciamo a rinunciare al Sabato….al giorno in cui uniamo i nostri cuori e le nostre menti per mandarvi un messaggio, un pensiero, un proposito tutto per Noi.
Questo a noi fa stare bene, forse perché ci mette in qualche modo in contatto: raggiungervi ci fa guardare “fuori” con progetto e un po’ più di coraggio.

In questi giorni ci siamo fatte solleticare da una collega che invita a vivere, in questa provvisoria e instabile realtà, il qui ed ora ponendo maggior attenzione ai passi che compiamo ogni giorno, osservando le piccole cose quotidiane che gli automatismi insabbiano e, in qualche modo, “arredando” il nostro presente.

Questa incertezza e instabilità inedite ci fanno restare in sospeso. Siamo tutti in attesa…come sbalzati in unastanza d’attesa. Per non farci impantanare da un futuro troppo confuso oggi, ognuna di noi si è concentrata sul presente della sua stanza d’attesa…. condivisa o meno con persone…più o meno collaboranti ma sicuramente care!

Ci è servito molto: forse anche stare fermi e guardarsi intorno – ma non troppo in là – aiuta a non perdere la bussola.

Ci piace rendervi partecipi di questo nostro riflettere o vagheggiare, conversare o sospirare perché siamo sempre più certe che con-dividere sia davvero generativo, soprattutto in un momento di disorientamento e insicurezza.

Insomma….troppe premesse! Volete sbirciare dentro le nostre stanze d’attesa?

Tutte abbiamo tinteggiato le nostre stanze d’attesa dicolori pastello volti a dire come la vita e il lavoro oggi debba essere delicato e attento. I colori troppo accesi li sentiamo sfacciati e stonerebbero con il dolore e le fatiche di tante persone vicine. Le pareti però non le abbiamo nemmeno colorate di grigio perchè la vita, anche se oggi è difficile, c’è!!

Ci siamo raccontate di stanze d’attesa silenziose, di un silenzio rispettoso del ritiro. Ancora, stanze d’attesa popolate di bambini che corrono, giocano, cantano…qualcuno suona il piano: stanze d’attesarumorose, di un suono rispettoso della vita e del suo incedere traballante ma pur sempre testardo.

Abbiamo portato il nostro lavoro in queste stanze di attesa: sul tavolo della cucina, nella taverna, col sole- anche sul balcone, su un comodo divano sgranocchiando qualcosa di buono e consolatorio, su una scomoda rampa di scale e anche in camera da letto, per tutelare la privacy delle videochiamate. Il lavoro in qualche modo ce lo siamo sempre portato a casa…ma ora, anche gli

strumenti di lavoro arredano le nostre stanze, insieme ai quaderni ed ai libri dei figli che devono ma stentano a studiare e fare compiti.

Annusiamo e sentiamo molti odori e profumi. Più di tutti, le fragranze dei dolci appena sfornati, del pane fatto in casa che ci dice molto della semplicità, dell’essenzialità preziosa.

Queste stanze in cui attendiamo talvolta sembrano gabbie ma allo stesso tempo sono rifugio: sono un confine che toglie ossigeno, spazio ma sono anche tutela. Ci rendiamo conto che cerchiamo di viverle al meglio, per farne bacino di energia, magari apportando qualche piccola modifica che meditavamo da tempo. Ma tutto non finisce certo lì, chiuso dentro le nostre stanze d’attesa.

Abbiamo finestre. Finestre per far entrare la luce di questa primavera modesta. Finestre da cui ci possiamo soffermare a guardare fuori un po’ timorose, curiose…altre volte più risolute, armate di non sappiamo quale audacia, al “sicuro” della nostra stanza. Finestre da cui osserviamo un mondo che vorremo tornare a vivere ed abitare: passeggiando per strada, bevendo un caffè espresso al bar, portando i figli al parco, andando al Pitturello o nelle vostre case, ad incontrarci. Finestre da cui guardiamo con un po’ con timore, con molto desiderio.

E abbiamo porte, porte aperte nonostante la vulnerabilità che ciascuna di noi sente di avere: da lì entrano venti freddi di dolore, delle persone per noi importanti: ci seccano la gola. Da lì arrivano anche brezze tiepide, di buone notizie, di speranze: ci scaldano il cuore. Porte che lasciamo aperte perché le idee entrino, escano e si intreccino costruendo comunque le nostre relazioni, il nostro lavoro, il nostro domani.

Noi, ogni tanto, le vostre stanze in cui attendete –oggi- ce le immaginiamo prendendo spunto dai suoni che fanno da sfondo alle telefonate.
Sono sicuramente stanze popolate, calde, disordinate, squillanti, colorate e intrise di diversi aromi ma anche di paure, desideri e speranze. Stanze vivaci.

In tutto ciò sentiamo la cura e la stanchezza che la cura stessa porta.
Nelle vostre stanze immaginiamo voi per come vi conosciamo e per come siete cambiati. Immaginiamo i vostri figli e i vostri figli di cuore che tenete al sicuro con voi, anche per i loro genitori.

Sono stanze le vostre che, quando si apriranno, traboccheranno di umanità, accoglienza, pazienza e amore.

Felici di essere insieme, vi salutiamo con un abbraccio!

Mara, Silvia, Cristina, Silvio, Alessia, Veronica, Stefania, Laura, Silvia C., Veronica P. e Alessia B.

Riflessioni non ordinarie di una coordinatrice di comunità con minori – L’Aquilone- Silvia Dradi   13/04/2020

Ognuno è grande al suo posto, recitano i Sufi (più o meno)

E’ ovvio? No, non lo è, perché non è questione di essere eroi, anzi, eroe al femminile (tanto meno eroine che è sempre meno di eroe).  Ciascuna di noi ha continuato evidentemente a esserci e lavorare intensamente con i minori ospitati perché questo lavoro implica di per sé responsabilità e cura.

Queste settimane, all’inizio più concitate e finalizzate a “fare” e organizzare da un punto di vista educativo questa nuova quotidianità (di scuole, di ricorrenti assenze di educatrici/i malate/I, di contatti serrati con genitori spaventati e bisognosi, di progressiva assenza di abbracci con i minori ….) non sono passate leggere.

Sto attraversando non solo le loro storie di paure e di mancanze, ma anche la mia storia di distanze e assenze, la lontananza di Milano e di mia mamma che proprio il 1 aprile ha compiuto 85 anni, da sola. E ciascuna/o di noi porta le preoccupazioni forte di familiari, amici o conoscenti che stanno male…(o la loro perdita).

L’equipe  intera, con le colleghe Asa e con i tre servizi civili che mai hanno interrotto il loro intervento, è stata comunque notevole nel riorganizzare la comunità e restituire comunque argini allo spaesamento nostro e dei minori.

Oggi siamo tutti più vicini alla vita e a ciò che conta, anche alla materialità della vita e dei corpi.

I gesti si sono fatti più consapevoli perché attenti a sé e agli Altri. E anche i ritmi in comunità sono più dilatati e calmi perché l’esercizio dell’attenzione costringe a rallentare. Non ci si accaparra più il cibo: il cibo c’è sempre stato in una comunità, abbondante, ma adesso i piatti vengono riempiti dall’educatrice, unica in cucina. E uno alla volta si ritira il proprio piatto, alle soglie della cucina. C’è più misura, anche nelle parole, non solo nei corpi.

I nostri ragazzi/e, piccoli e grandi, che stanno crescendo con noi, fuori dalle loro famiglie, sembrano più attrezzati di noi adulti perché abituati dalla vita a situazioni critiche ed emergenziali. Sono abituati a sentire o anche non sentire i loro corpi talvolta dirompenti con le loro emozioni. Noi dovevamo fermarci così, per imposizione istituzionale, per avere la prova che siamo vive/i e che sono anche pochissime le questioni che contano, anche lavorative.

Quindi ci siamo, pur non sapendo molto di ciò che ci sta accadendo e cosa questo genererà o trasformerà….

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Silvia, coordinatrice della comunità con minori l’Aquilone

“…per poi probabilmente rendersi conto che l’acqua a cui abbeverarsi c’è ancora, solo bisogna seguirne il corso a ritroso per capire da quale nuova sorgente arriva…”

Oggi (cfr quando scrive) ho fatto il turno in comunità: ho fatto dalle 7.00 alle 15.00, ho fatto il turno Asa. Sono poi salita a Pasqua e a Pasquetta per fare l’educatrice.

Posso dire che ben volentieri io e Valentina abbiamo accettato la proposta di coprire qualche turno anche come ASA. Anzi, per dirla tutta gli abbiamo detto che se aveva bisogno di noi non doveva esitare a chiederci. In realtà questo “cambio d’abito” è molto interessante, ora so quasi a memoria che tipo di caffè bevono i miei ospiti (amaro? Zucchero? Tazza piccola? Grande?) ora riesco a capire come vivono il turno i miei colleghi e che grande lavoro fanno. Sto sperimentando un venirsi incontro e un aiutarsi tra noi che prima era meno possibile poiché tutti avevamo più agio nello svolgimento dei nostri compiti. Ed è proprio bello dar loro il buongiorno alle 7.00 del mattino e vederli dall’inizio della loro giornata (purtroppo- o per fortuna- non ci hanno affidato turni notte, quindi non posso dire nulla della vita della comunità in quel momento). Così come è bello vederli preparsi al sonno la sera o vederli attivarsi nella cura della comunità per aiutarti. È bellissimo sapere che c’è una H. che tutte le volte mi chiede desiderosa quando sarò presente a cena perché le piace che io la accompagni nel rito del lavaggio della dentiera (rito che merita un post tutto per sé perché racchiude una classe e un’armonia dei movimenti inimmaginabile). Sento la leggerezza dell’affidarsi reciproco, io a loro (che ne sanno più di me) e loro a noi (accolgono le cure, di qualsiasi tipo, come una preziosa coccola). Sono Belli, sono proprio Belli! E quando riesco a risintonizzarmi sul loro passo di danza, mi nutrono tanto… riscopro la freschezza dell’acqua, mi incoraggiano a cercare la sorgente.

Lunedì abbiamo fatto la grigliata!! Perché noi abbiamo la natura, abbiamo il sole, abbiamo la primavera, abbiamo la griglia, lo spazio, abbiamo la compagnia e soprattutto abbiamo avuto una Pasquetta soleggiata e calda come non accadeva da anni…e quindi sì, noi a Pasquetta abbiamo fatto la grigliata!!

Approfittando di quanto la nostra struttura sia fantastica (che in questa fase gode dell’isolamento e della grandezza che la caratterizzano), grazie al sapiente lavoro di Paolo che è proprio bravo a far vivere il lavoro come un’azione edificante anche a persone che non hanno mai granché lavorato, stiamo lavorando sulle aree verdi della struttura, stiamo piantando fiori, stiamo potando rose, tagliando erba e improntando un orto che da oggi è diventato casa di una serie di germogli di insalata…

Una delle scoperte di questo periodo, per me, è stato il poter lavorare in squadra con colleghi e coordinatori: presenti, attenti, capaci, solidi. Una risorsa importante in questa fase!

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Antonia, educatrice al Maresana, centro salute mentale

Questa situazione di emergenza sta pesando sulle spalle di tutti. Per noi giovani c’è la paura di contagiare le persone con cui viviamo, che stanno in casa tutto il giorno per restare al sicuro.

C’è però chi soffre ancora di più questo tempo di isolamento forzato, ovvero i ragazzi delle comunità di minori, ed è proprio qui che entriamo in gioco noi, presso la comunità Aquilone.

Non sarà di certo questo periodo critico e difficile a demoralizzarci anzi, siamo più concentrati e motivati a rendere le giornate il più possibile quotidiane e armoniose. 

Se già prima la loro libertà era limitata, in questo momento la sofferenza è aumentata, a causa della lontananza dai propri cari e famiglie amiche, che spesso li ospitavano durante i weekend. Anche il momento con i rispettivi psicologi era prezioso, e la videochiamata, per quanto sia utilissima, non potrà mai sostituire l’incontro fisico.

Abbiamo così deciso di continuare il servizio civile in questo periodo di emergenza, perchè crediamo che il nostro supporto sia fondamentale ed essenziale, dandoci forza a vicenda, che è proprio quello che serve a tutti, educatori compresi. 

Noi cerchiamo, nelle nostre piccole possibilità, di far vivere ai ragazzi questa emergenza nel modo più sereno possibile: un aiuto nei compiti e nel comprendere le lezioni online, un gioco in scatola o un po’ di esercizio fisico.

I momenti difficili sono molti, ma i sorrisi e le risate strappati in questo momento valgono molto di più e sono proprio i ragazzi a ricordarci che andrà tutto bene.

Aquilone è diventata anche la “nostra” casa, e grazie all’aiuto di tutti, nessuno escluso, possiamo superare questo momento.

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Christian, Elisa e Giulia, volontari in servizio civile alla Comunità con minori l’Aquilone

Dall’esterno sembra non sia cambiato molto nel lavoro da svolgere. Il cellulare funziona e quindi i contatti ci sono. Le riunioni si fanno ugualmente, sia all’interno della Cooperativa che con il Consorzio: il Consiglio di Amministrazione e i dirigenti si vedono via Skype, altri usano altre piattaforme. Tanti contatti con le pubbliche Istituzioni per adeguare il nostro modo di operare alle costrizioni del coronavirus.
Ma in realtà le cose sono cambiate molto in questo periodo strano e difficile. Sono tanti i servizi chiusi, ma gli altri operano tra mille difficoltà, e quindi aumentano di molto esigenze legate alla sicurezza, al personale, all’organizzazione interna. E bisogna riflettere sulle possibilità di riprendere alcune attività, di mettere a frutto i contatti “a distanza” con tanti dei nostri utenti, con gli operatori stessi.
Manca molto il rapporto diretto con le persone, che rende più facili e comprensibili le domande, le decisioni da prendere, le mediazioni da trovare. Siamo più soli ed è come se ognuno dovesse condurre in navigazione una propria nave, senza sapere bene dove sono le navi sorelle.
Ogni giorno vi sono notizie di persone che si ammalano, di qualcuno, amico o parente di qualcuno di noi, che è venuto a mancare. E che non possiamo salutare, se non nei nostri pensieri.
Ma non mancano i segni di speranza, e sono forti: le storie che scriviamo, le persone che guariscono, il modo in cui tanti di noi si impegnano come sulla linea di un fronte, le tante riflessioni che circolano sul “durante virus” e sul “dopo virus”, le idee e i sentimenti che don Emilio ci fa avere ogni mattina.
Il sole torna sempre.
Vado meno in sede, cerco di stare di più a casa. Ed è bello, mentre scrivo un documento, sentire i ragazzi della comunità l’Aquilone che giocano, cantano, si impegnano. Certo, due piani più sotto.
Distanti. Ma vicini.

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Raffaele, presidente della cooperativa sociale AEPER

“In questo periodo di limitazioni, di distacco, ricominciamo (o forse iniziamo) ad apprezzare il vero valore delle piccole cose, dei piccoli gesti, dell’essenziale. La pandemia ha tolto certezze, ci ha spogliati, ci ha reso più veri. Porto sempre con me una frase di una ragazza, non più in Piccola Stella, che a fine progetto, nel tradizionale discorso, di saluto dice: “La Piccola Stella mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, per essere felici basta poco…”  

Il coronavirus e l’isolamento che ne è conseguito hanno posto tutti di fronte ad una grande sfida: reinventarsi. Reinventarsi nel lavoro da casa, reinventarsi nel rapporto con gli altri, reinventarsi anche nel modo in cui vivere la relazione con sé stessi. Ciò è particolarmente vero per una comunità terapeutica per adolescenti.

Qui la quotidianità è stata riorganizzata. Le mani di qualche ragazzo appaiono secche e screpolate per i lavaggi frequenti. Il saluto con i gomiti, a debita distanza, sostituisce gli abbracci, ai quali i ragazzi danno grande importanza: è sentire che l’altro c’è. Anche la rilevazione della temperatura corporea è cambiata, è diventata una “coccola”, un atto di cura e di protezione, una modalità per ritagliarsi uno spazio esclusivo.

I tempi morti, aumentati in maniera esponenziale per la sospensione dei vari laboratori, sono stati riempiti con un uso potenziato, ma sempre protetto, dei videogiochi (meravigliosi i passi e le voci dei ragazzi con la wii), della tv e dello smartphone, che ha permesso loro di prendere consapevolezza sul tema che ci accompagna ormai da 2 mesi.

Ma l’atteggiamento dei nostri ragazzi è diverso da quello dei loro coetanei: non hanno paura del COVID allo stesso modo in cui lo temono gli altri, anche i più grandi. E non perché non siano a conoscenza dei rischi, dei numeri, ma perché il virus, a confronto di quello che portano dentro, sembra il più debole dei nemici. Ai loro occhi il virus è la causa dell’interruzione di un percorso terapeutico. È un mostro invisibile che ha rallentato la corsa ad ostacoli al loro reinserimento nel contesto familiare e sociale.

A loro la quarantena non fa così tanta paura. Hanno imparato a convivere con la mancanza di qualcuno o qualcosa molto prima che un microbo ci imponesse il distanziamento sociale. Loro sanno bene cosa significhi stare lontano dalle persone a cui tengono. Sanno che la famiglia è un buon contenitore quando i legami sono funzionanti e le basi solide, ma sono consapevoli che, se fondata su fragilità, può portare a rapporti distruttivi e conseguenze gravi almeno quanto quelle causate dal COVID.

La residenzialità ti porta inevitabilmente a vivere in un altro mondo. Oggi, forse per la prima volta, i nostri guerrieri sono i più “fortunati” tra gli sfortunati. Vivono a contatto con la natura, hanno la possibilità di stare in gruppo, di fare gruppo, di sostenersi a vicenda, di giocare insieme e condividere tutti i sentimenti che la quarantena possa comportare.  Si sono goduti all’aperto una delle Pasquette più soleggiate degli ultimi anni, con tanto di grigliata. Per non parlare della caccia al tesoro Pasquale, organizzata con cura dalle nostre educatrici, con maxi-uovo finale donato da un gruppo di tifosi dell’Atalanta. Infine, ma non meno importante, hanno al loro servizio quotidianamente il sostegno psicologico e relazionale dei “nostri eroi in prima linea”.

Ma, purtroppo, alla domanda “come procede la quarantena in comunità?” non è così facile rispondere.

Dopo una prima fase di sensibilizzazione, creatività e sport, stiamo vivendo una “fase 2” nella quale la stasi progettuale ha generato stanchezza e un clima pesante come un macigno. I dubbi del presente, che si sommano alle incertezze del futuro, danno la percezione di vivere in un mondo instabile, insicuro e le giornate si allungano tanto da sembrare una vita.

In questo momento storico è importante far sentire a casa i nostri ragazzi, senza sottrarci a tutte le misure a cui è chiamata una struttura sanitaria. I nostri operatori stanno dando grande prova di professionalità e senso di appartenenza. Sono orgoglioso di ognuno di loro, così come sono orgoglioso dei ragazzi, che ce la stanno mettendo tutta. Si sono dimostrati comprensivi rispetto ad una situazione che, inevitabilmente, ha influenzato le nostre vite, ma che siamo sicuri, ci rafforzerà, anche come comunità.

Torneremo ad abbracciarci, più forte di prima.”

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Angelo, infermiere e coordinatore dello staff della Comunità terapeutica per adolescenti Piccola Stella

“𝗞𝗮𝗹𝗲𝗶𝗱𝗼 è 𝘂𝗻 𝗹𝘂𝗼𝗴𝗼. 𝗜𝗻 𝗿𝗲𝗮𝗹𝘁à 𝗞𝗮𝗹𝗲𝗶𝗱𝗼 𝗻𝗼𝗻 è 𝘂𝗻 𝗹𝘂𝗼𝗴𝗼, è 𝘂𝗻 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗼.
In due frasi ho scritto due pensieri diversi e contrastanti tra di loro, quindi ho commesso un errore, quindi le cose non vanno bene già da qui.
Invece vorrei ribaltare ancora quanto detto, ossia che Kaleido è tutto questo, è un luogo, un gruppo e un pezzo della nostra vita dove sperimentare insieme agli altri dei comportamenti o dei pensieri che non avremmo mai condiviso altrimenti.
Kaleido è una pozione, un’essenza da bere quando si sente il bisogno di cambiare qualcosa in questo preciso momento.
Kaleido è un letto comodo ed è una sveglia, ma in realtà sono anche due mani che ti aiutano a rialzarti ma che ti possono anche spingere là; Kaleido è fatto dalle persone e da tutto ciò che portano.
𝗦𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗞𝗮𝗹𝗲𝗶𝗱𝗼 𝘀𝗮𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗴𝗿𝗶𝗴𝗶𝗼, 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗹𝗼𝗿𝗲, 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗴𝗿𝗮𝘇𝗶𝗲 𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗶 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶 𝗲 𝗶 𝗺𝗲𝗻𝗼 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶 𝗱𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝗵𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼, 𝗞𝗮𝗹𝗲𝗶𝗱𝗼 𝘀𝗶 𝗰𝗼𝗹𝗼𝗿𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗼𝗽𝗮𝗰𝗶𝘁à 𝗲 𝗯𝗿𝗶𝗹𝗹𝗮𝗻𝘁𝗲𝘇𝘇𝗲
Una volta che si è colta questa essenza, un po’ nascosta, allora si è capito cosa è Kaleido.”
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𝗠𝗮𝘂𝗿𝗼, 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗞𝗮𝗹𝗲𝗶𝗱𝗼 (𝗰𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗱𝗶𝘂𝗿𝗻𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗮𝗱𝗼𝗹𝗲𝘀𝗰𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗰𝗼𝗻 𝗱𝗶𝘀𝗮𝗴𝗶𝗼 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗵𝗶𝗰𝗼)

Sono Marta, una volontaria del progetto “Di Casa in Casa” di AEPER e del Comune di Bonate Sotto.
Prima del lockdown completo, dopo la comparsa dei primi casi di Covid a Bergamo, decisi di rimanere alla Casa della Carità di Bonate Sotto, dove, da Settembre vivevo per il progetto di “Di casa in casa”. 
Rimasi li per una decina di giorni, perché nonostante si fossero bloccate le attività di volontariato previste dal progetto avevo fiducia che presto qualcosa sarebbe ripartito. 
Invece tutto è peggiorato e nel momento in cui è stata annunciata la quarantena mi sono spaventata e ho deciso di tornare a Bergamo, Campagnola, dai miei genitori. 
Inizialmente, questa decisione, mi ha fatta sentire in colpa e giù di morale, mi sembrava di abbandonare il progetto. Invece non è stato così,  pian piano le cose si sono riattivate in questa nuova forma digitale che ormai tutti ben conosciamo e ho capito che potevo rendermi utile anche a distanza e restando, per un po’, a vivere con la mia famiglia.
Non senza fatiche, continuo a seguire delle attività che svolgevo anche prima e ne ho iniziate di nuove. 
Tutto ciò mi sta permettendo di continuare a sentirmi parte di una comunità che stavo iniziando a conoscere e fare mia. Prima del blocco, immersa nelle numerose attività, quasi non me ne rendevo conto. Ma questo brusco arresto mi ha costretto a dovermi ripensare e quindi a ripensare all’importanza che la presenza del progetto “Di casa in casa” ha nella mia vita. 
Mi sono resa conto che non consiste solo in una serie di attività di volontariato, è un vero e proprio nuovo modo di percepire il territorio. È un progetto che ti fa capire, quanto sia importante creare una rete sulla quale poter fare affidamento, attivamente, conoscendo da vicino tutti gli attori di un territorio: Parrocchia, Comune, Associazioni, Altri Volontari, Cittadini..ecc.
Ciò che avevo appena iniziato a interiorizzare a Bonate Sotto l’ho portato con me a Bergamo. Infatti qui ho iniziato a collaborare con “BergamoXBergamo”  le squadre di volontariato nate per fronteggiare l’emergenza COVID e mi sono accorta che mi sono stati molto utili i principi appresi nel progetto “Di Casa in Casa”. 
Probabilmente se non stessi facendo questa esperienza avrei guardato alle cose con occhi completamente diversi. 
Parlo al presente perché “Di Casa in Casa”, pur essendo, in questo momento un po’ limitato a livello pratico, come qualsiasi attività volta al sociale; è ancora ben presente nella mia quotidianità e nei miei progetti futuri. 
Ora che c’è uno spiraglio di apertura sto pensando a quando tornare fisicamente “a casa” passando nuovamente come a Settembre di casa in casa: dalla casa in cui sono cresciuta a quella in cui stavo sperimentando la mia autonomia: La Casa della Carità di Bonate Sotto.
Fantastico su come si potrà portare avanti il progetto nei prossimi mesi, su come dovremo continuare a riinventarci.
L’Emergenza mi ha involontariamente convinta di quanto sia importante imparare da tutto quello che ci accade, la vita è sempre imprevedibile (anche se sta volta ha effettivamente esagerato un pochino). Non so se ne usciremo migliori o peggiori, ma sicuramente diversi.”

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Marta, volontaria progetto ‘Di casa in casa’

“Siamo partiti per le solite vacanze invernali ad Arma di Taggia che ci  fanno bene anche per la salute. Era il 15 febbraio, quando non si sospettava ancora di niente, forse si sentiva parlare di un virus cinese, simile ad un’influenza o poco più.
Chi avrebbe immaginato il poi?
Anche se lontani abbiamo seguito passo passo gli eventi tramite i social e il quotidiano locale. Beato web.
La nostra “medico” insisteva perché ci fermassimo qui, essendo soggetti a rischio. Ce lo  raccomandava spesso.
Molti conoscenti e amici se ne andavano nei modi che abbiamo imparato a  conoscere,  senza che riuscissimo a ricordarli uno per uno, erano troppo tanti per soffermarci solo su uno.
Anche a Bebe è mancato un cugino, alcuni parenti e amici si sono ammalati e sono stati in casa per la quarantena, altri, ricoverati e molto gravi, ce l’hanno fatta.
Che dire? Qui il contagio si è manifestato nel periodo corrispondente  alla definizione della zona rossa in tutto il Paese. ll disastro ha toccato di più le RSA. Siamo stati in casa, Bebe faceva qualche scappatella lungo percorsi solitari con l’autocertificazione in tasca ed io qualche puntatina per dei piccoli acquisti. Ora hanno aperto spiagge, piste ciclabili e lungo mare, chiusi completamente in precedenza.
Mai viste così tante forze dell’ordine in circolazione.
Ci riteniamo dei privilegiati nell’essere qui ormai da tre mesi. Anche stamattina la “medico” ci ha consigliato di non avere fretta di tornare. Noi l’abbiamo “ubbidita” volentieri. Pensiamo di tornare i primi di giugno.
La nostra casa è servita intanto ad una persona molto cara contagiata e curata a casa.
La cosa più bella è che i social ci hanno permesso di stare in dialogo con tante persone, di partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia con la Nazareth e gli amici collegati. Ogni due settimane ci si ricollega per partecipare ad un bel momento di scambio e condivisione di esperienze di vita che ci arricchiscono tanto.
La lettera quotidiana di don Emilio è sempre ricca di contenuti e ci fa  sentire vicini. È bello riuscire a dare un senso “oltre” a ciò che viviamo di semplice nella vita di tutti i giorni.
Sentiamo tanta gratitudine per tutti e benediciamo la scelta fatta 45 anni fa circa, quando avevamo capito una cosa piccola, piccola che non potevamo farcela da soli ma sentivamo il bisogno di aprirci a esperienze nuove, dove potessimo vivere il Vangelo calato nel quotidiano nostro, di una comunità in ricerca e di chi fa più fatica.

Abbiamo cercato…e abbiamo trovato.

Grazie anche a voi, alle tante persone che non hanno smesso di lavorare per dare continuità ai servizi, e a chi lavora da casa. Auguriamo una buona ripresa che immaginiamo non semplicissima. Un caro saluto.”

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Luisa e Bebe, soci della cooperativa AEPER

“Rientriamo dalla gita a Barbiana e Firenze organizzata dalla Rete famiglie affidatarie, quella che era una sensazione diventa realtà; a Bergamo si respira angoscia per l’incertezza e paura per ciò che non si conosce ancora. Scuole chiuse e blocco delle attività. Francesco spera di potere tornare presto a scuola, ma chi l’avrebbe detto!!!? Il piccolo che stiamo ospitando ha 20 mesi e aveva cominciato da due mesi la frequentazione del nido. In entrambi è facile vedere la mancanza di interazione con i coetanei e visione ambientale limitata, più chiusura nel grande, ma anche la stanza come un bozzolo in cui rinchiudersi senza doversi confrontare con il mondo; disorientamento nel piccolo, ancora un adattamento a volumi che sono sempre quelli, stesse persone, stesse modalità. È un periodo molto bello, con lui posso riconoscere le sue emozioni che affiorano ed è molto bello vedere come vive l’esperienza. Mi stimola a pensare, provare di inventare giochi, favolette, letture, sembra reggere bene, io scopro lo “sbatt-working”. Passa un mese e noto che verso sera ciondola e tende a sbattere la testa, non vuole addormentarsi ed è una continua sveglia di notte; è lunedi mattina, piove, decido che usciamo con il passeggino, rientriamo infradiciati ma felici e contenti. Il cambiamento è immediatamente visibile. Comincia la disobbedienza civile, da quel giorno siamo sempre usciti ed il vigile…come Willy Coyote!!
Mi incattivisco quando leggo di una possibile apertura delle scuole non per tutti, distanziamento sociale, mascherine, ore di e-learning da aggiungere a smartphone e televisione; i bambini hanno bisogno di sporcarsi, toccarsi, guardarsi in faccia e sorridersi, si chiama empatia ed è una lezione che ci accompagna tutta la vita.
Siamo passati in attimo dagli insegnamenti della scuola di Barbiana e la cura verso i bambini, alla realtà di una firma che ha creato dei bambini “sospesi”, sospesi in un tempo senza tempo e in uno spazio senza spazio.”

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Alessandro, con la moglie Annalisa della Rete Famiglie Affidatarie

“In questo tempo così inusuale, doloroso e prezioso allo stesso tempo, quello che riesco a esprimere è un caleidoscopio di immagini e di emozioni, schegge di vita.

Lo stupore e l’incredulità

La morte, che ci ha accarezzati, portando con sè tante persone care…restano buchi nel cuore

La mancanza di un saluto…una porta che non si chiude

Gli amici in ospedale, la febbre che non passa….

Il pane di Mara, croccante, saporito

L’interruzione improvvisa di celebrazioni, incontri, laboratori. Il campanello muto

La primavera che esplode in tutto il suo splendore

Il silenzio, quasi irreale, che apre spazi alla sinfonia della natura

Gli abbracci negati.

La condivisione, la vicinanza, i giochi dei bambini, le lettere di Emilio: ossigeno! Una canzone stonata, in giardino, per dire che ci siamo, per infondere energia

Le celebrazioni con zoom: ”mi sentite?”, “c’è anche Giulia dal Canada”, pani che si spezzano, mani che benedicono

Un’anatra depone le sue uova in giardino

Fulvio e Paola di nuovo insieme, a casa!

Un abbraccio fra le lacrime, liberatorio, che fa bene all’anima.

Le mascherine confezionate insieme: cuori che battono, mani che lavorano

Un lumino acceso ad ogni finestra, in attesa di chi sta ancora lottando e che tornerà.”

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Silvana, comunità Nazaret e socia della cooperativa AEPER

‘Cerchiamo un nuovo sguardo’, così abbiamo titolato il lavoro fatto in questi mesi di lockdown con i nostri ragazzi. Uno sguardo capace di rivolgersi al proprio interno per prendere contatto con la propria fragilità, uno sguardo rivolto verso l’altro a cui consegnarsi e di cui prendersi cura, uno sguardo rivolto verso la storia, da comprendere e interpretare per costruire il domani di tutti e di ciascuno.

Uno sguardo capace di progettare il futuro e di attendere l’avvenire. Non vogliamo che i ragazzi siano solo spettatori, consumatori o fruitori di un mondo che decide per loro e che disumanizza le loro anime e impoverisce le loro teste. Sogniamo un mondo in cui i ragazzi prendano parte da cittadini sovrani nella tutela della dignità delle persone e nella gestione condivisa della cosa pubblica, capaci di ascoltare e leggere la realtà, di discernere, decidere e agire.

Giovani dentro l’oggi, con le mani impastate nella storia e con gli occhi ripieni di cielo. Un sogno non da poco, ma credeteci, non è difficile sognare così, quando si ha la pazienza di incontrare i ragazzi e ascoltarli, perché loro, con la loro freschezza, intuizione e sensibilità hanno già in sé la premessa e la promessaperchè questo sogno si realizzi.

Siamo piuttosto noi, adulti, che dobbiamo accettare la sfida e accompagnarli in questo cammino, con umiltà, voglia di imparare da loro, ma anche con grande serietà e responsabilità. I ragazzi ci guardano e cercano il senso di questa vita, non possiamo sprecare questa domanda, dobbiamo essere all’altezza del loro sguardo. Siamo quindi chiamati ad urgente conversione, per ritrovare l’adulto che ci manca, quell’adultità che ci fa stare nelle cose con passione, ascolto, creatività, impegno, generosità; quell’adultità che non si stanca di tessere legami e costruire un mondo più giusto e più umano dove ciascuno abbia il suo posto.

Così, giorno dopo giorno, nel silenzio tacito di un tempo che ci ha colto alla sprovvista, mettendo a soqquadro le nostre vite, abbiamo provato a dare forza a quel legame fragileche ci univa ad alcuni adolescenti, abbiamo dato credito alla loro intelligenza e voglia di capire, e abbiamo scommesso sul nostro sogno, consapevoli che con le nostre forze non saremmo andati lontanissimo, ma sospinti dallo Spirito e da grandi maestri che la storia ci ha regalato, avremmo potuto lasciarci portare un poco più in là. E stiamo raccogliendo molto, i ragazzi stanno mettendo in gioco i loro talenti con grande generosità e fiducia.

Tre sono le direzioni in cui ci siamo mossi:

  • Una proposta di vicinanza e amiciziacon il solo desiderio di trovarsi, per raccontarsi, ascoltarsi e confrontarsi su come stiamo vivendo, quali fatiche, paure, attese.
  • Una proposta formativaper leggere insieme quanto è accaduto, quali cause ci hanno portato a questo collasso, quali meccanismi hanno impedito una buona gestione di questa crisi, un’analisi della realtà per comprendere quali sono le questioni sociali su cui oggi vale la pena impegnarsi. Per fare questo, abbiamo individuato un autore, Giradu Gael, economista francese, che ci sta accompagnando in questo lavoro di approfondimento, attraverso alcuni suoi scritti.
  • Una proposta di serviziochiedendo ai ragazzi di immaginare qualcosa di bello da mettere fra le mani dei bambini. Così è nata l’idea di video autoprodotti dai giovani, in cui gli stessi, a partire dalle loro doti, hanno costruito proposte creative, ludiche, sportive, di riflessione da inviare settimanalmente ai ragazzi più piccoli.

Ora, nel tempo della ripresa, animato dal chiacchiericcio del mondo che si rimette in movimento, non senza timori su cosa fare o non fare, ci teniamo uniti con l’impegno di non disertare lo sguardo dell’altroche prima di essere possibile untore, è colui che mi tiene in vita, quel fratello e sorella che nelle nostre mani è stato affidato. Ci terremo un poco distanti nei corpi, ma ci terremo vicini nella cura, soprattutto verso coloro che saranno più bisognosi, e saremo perseveranti nel cercare insieme quello sguardo che possa fare di noi, ‘non i migliori ma uomini migliori’.

‘Cerchiamo un nuovo sguardo’, così abbiamo titolato il lavoro fatto in questi mesi di lockdown con i nostri ragazzi. Uno sguardo capace di rivolgersi al proprio interno per prendere contatto con la propria fragilità, uno sguardo rivolto verso l’altro a cui consegnarsi e di cui prendersi cura, uno sguardo rivolto verso la storia, da comprendere e interpretare per costruire il domani di tutti e di ciascuno.

Uno sguardo capace di progettare il futuro e di attendere l’avvenire. Non vogliamo che i ragazzi siano solo spettatori, consumatori o fruitori di un mondo che decide per loro e che disumanizza le loro anime e impoverisce le loro teste. Sogniamo un mondo in cui i ragazzi prendano parte da cittadini sovraninella tutela della dignità delle persone e nella gestione condivisa della cosa pubblica, capaci di ascoltare e leggere la realtà, di discernere, decidere e agire.

Giovani dentro l’oggi, con le mani impastate nella storia e con gli occhi ripieni di cielo. Un sogno non da poco, ma credeteci, non è difficile sognare così, quando si ha la pazienza di incontrare i ragazzi e ascoltarli, perché loro, con la loro freschezza, intuizione e sensibilità hanno già in sé la premessa e la promessaperchè questo sogno si realizzi.

Siamo piuttosto noi, adulti, che dobbiamo accettare la sfida e accompagnarli in questo cammino, con umiltà, voglia di imparare da loro, ma anche con grande serietà e responsabilità. I ragazzi ci guardano e cercano il senso di questa vita, non possiamo sprecare questa domanda, dobbiamo essere all’altezza del loro sguardo. Siamo quindi chiamati ad urgente conversione, per ritrovare l’adulto che ci manca, quell’adultità che ci fa stare nelle cose con passione, ascolto, creatività, impegno, generosità; quell’adultità che non si stanca di tessere legami e costruire un mondo più giusto e più umano dove ciascuno abbia il suo posto.

Così, giorno dopo giorno, nel silenzio tacito di un tempo che ci ha colto alla sprovvista, mettendo a soqquadro le nostre vite, abbiamo provato a dare forza a quel legame fragileche ci univa ad alcuni adolescenti, abbiamo dato credito alla loro intelligenza e voglia di capire, e abbiamo scommesso sul nostro sogno, consapevoli che con le nostre forze non saremmo andati lontanissimo, ma sospinti dallo Spirito e da grandi maestri che la storia ci ha regalato, avremmo potuto lasciarci portare un poco più in là. E stiamo raccogliendo molto, i ragazzi stanno mettendo in gioco i loro talenti con grande generosità e fiducia.

Tre sono le direzioni in cui ci siamo mossi:

  • Una proposta di vicinanza e amiciziacon il solo desiderio di trovarsi, per raccontarsi, ascoltarsi e confrontarsi su come stiamo vivendo, quali fatiche, paure, attese.
  • Una proposta formativaper leggere insieme quanto è accaduto, quali cause ci hanno portato a questo collasso, quali meccanismi hanno impedito una buona gestione di questa crisi, un’analisi della realtà per comprendere quali sono le questioni sociali su cui oggi vale la pena impegnarsi. Per fare questo, abbiamo individuato un autore, Giradu Gael, economista francese, che ci sta accompagnando in questo lavoro di approfondimento, attraverso alcuni suoi scritti.
  • Una proposta di serviziochiedendo ai ragazzi di immaginare qualcosa di bello da mettere fra le mani dei bambini. Così è nata l’idea di video autoprodotti dai giovani, in cui gli stessi, a partire dalle loro doti, hanno costruito proposte creative, ludiche, sportive, di riflessione da inviare settimanalmente ai ragazzi più piccoli.

Ora, nel tempo della ripresa, animato dal chiacchiericcio del mondo che si rimette in movimento, non senza timori su cosa fare o non fare, ci teniamo uniti con l’impegno di non disertare lo sguardo dell’altroche prima di essere possibile untore, è colui che mi tiene in vita, quel fratello e sorella che nelle nostre mani è stato affidato. Ci terremo un poco distanti nei corpi, ma ci terremo vicini nella cura, soprattutto verso coloro che saranno più bisognosi, e saremo perseveranti nel cercare insieme quello sguardo che possa fare di noi, ‘non i migliori ma uomini migliori’.

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Anna, educatrice delle Politiche Giovanili e socia della cooperativa AEPER

Video

Galleria fotografica

Aquilone – allenarsi…

Aquilone – dipingere muri…

Aquilone – fare esperimenti…

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – doni di Pasqua

Aquilone – Incontro sulla prevenzione con Croce Rossa Loreto

Aquilone – Incontro sulla prevenzione con Croce Rossa Loreto

Piccola Stella – le uova di Pasqua in dono!

Piccola Stella – il NOSTRO arcobaleno!

Piccola Stella – il NOSTRO arcobaleno!

Piccola Stella – il NOSTRO arcobaleno!

Puzzle all’Aquilone

 Le lettere di Don Emilio

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